Adone incoronato da Venere
Adone incoronato da Venere
Questo affascinante gruppo fu commissionato dal Re di Polonia Stanislao Poniatowski per essere collocato in una delle sale del Palazzo Reale.
Le finanze gli vennero però a mancare, e quindi l’opera non fu mai completata e mai tradotta in marmo. In alternativa, il re comprò due marmi già fatti e finiti.
L’opera si trova evidentemente a uno stato embrionale, non completamente levigata e finita, e rappresenta quindi un pezzo unico e irripetibile, riscontrabile solo all’interno della Gypsotheca di Possagno.
Il metodo di lavoro dell’artista imponeva di partire dalla levigazione del viso dei soggetti, per questo motivo solo il volto è stato sottoposto alla procedura.
I protagonisti sono la dea Venere e il suo giovane amato Adone.
Secondo il mito, Adone nacque dall'unione incestuosa tra Cinira, re di Cipro, e sua figlia Mirra, e la caccia era da sempre la sua passione.
Venere, graffiata involontariamente da una delle frecce di Cupido, se ne innamorò perdutamente. La fanciulla tentò invano di trattenerlo dal cacciare mettendolo in guardia rispetto alle bestie feroci, ma invano.
Un giorno, cacciando, Adone fu ferito mortalmente da un cinghiale. Udendo i lamenti del moribondo, la dea accorse in suo aiuto quando però era ormai troppo tardi.
Nel punto in cui cadde il sangue del giovane spuntarono degli anemoni.
Zeus, impietositosi per la morte del ragazzo, permise che egli rimanesse nel mondo dei morti solo per una parte dell’anno. Così, a primavera e in estate, Adone risorgeva con un corpo sempre bello e vigoroso.
La gioia e la felicità di Venere veniva manifestata con giochi e corone di fiori: ogni anno i due tornavano a vivere insieme felici.
Il gruppo presenta una piacevole armonia nel movimento dei corpi: le braccia dei due giovani si chiudono ad arco, reggendo una coroncina di fiori.
Adone è seduto e guarda la ragazza con sorpresa e gratitudine. Venere adagia mollemente il capo sulle ginocchia del giovane e ne ammira appagata la bellezza.
I corpi sono nudi, come vuole il linguaggio della statuaria, ma non si nota, né in questo né in altri lavori, alcun sentimento sconveniente e turpe.
In Canova infatti la bellezza sublime e idealizzata affina i sensi e innalza l’animo, cogliendo nella perfezione dei corpi una serena e gioiosa compostezza spirituale.
L’opera, circolare e godibile in ogni suo aspetto solo a 360°, è testimonianza di un’usanza tipica del salottino settecentesco.
1789, gesso, 145x104x185